LA NOSTRA STORIA

La storia sembrava una favola. C’era però, nella sua voce, un tono di passione e di sincerità quando affermava che, da quel giorno, era vissuto nella speranza di poter ricostruire ciò che aveva dovuto distruggere

LA NOSTRA STORIA

La storia sembrava una favola. C’era però, nella sua voce, un tono di passione e di sincerità quando affermava che, da quel giorno, era vissuto nella speranza di poter ricostruire ciò che aveva dovuto distruggere


Karcha Bahlut è un villaggio di circa 150 anime sulla riva destra del grande rio Paraguay, In questa regione la concentrazione di coccodrilli, pesci di fiume, uccelli e zanzare è elevatissima mentre la densità di abitanti per chilometro quadrato è tra le più basse del pianeta. Era il giugno del 2015, sulla riva del fiume, Bruno Barras, raccontava una vicenda avvenuta 25 anni prima. Una storia di amore e morte. Raccontava di una giovane, innamorata di un suo coetaneo. Desiderava sposarlo ma i suoi genitori si opposero . La ragazza, disperata, s’impiccò in una casa dove gli abitanti di Karcha Bahlut conservavano gli oggetti della loro memoria ancestrale: una specie di piccolo museo rudimentale, un luogo della memoria. Bruno Barras era stato da poco nominato cacique e non poteva sottrarsi alle sue responsabilità. Il suicidio attira spiriti maligni che possono condurre alla distruzione del villaggio. Solo il fuoco può scacciarli. Il museo, nello sgomento generale, fu ridotto in cenere. La storia sembrava una favola. C’era però, nella sua voce, un tono di passione e di sincerità quando affermava che, da quel giorno, era vissuto nella speranza di poter ricostruire ciò che aveva dovuto distruggere. Gherardo gli credette e di slancio promise che il museo sarebbe risorto dalle sue ceneri.

Serviva un progetto, comprensivo di una stima dei costi, per potersi mettere alla ricerca dei finanziamenti necessari.
Si cominciò così a fissare i concetti principali: partecipazione e coinvolgimento, costruzione autoctona, km.0, basso costo, sostenibilità, adattabilità, luogo della memoria...
Il Centro Culturale della Repubblica del Paraguay, “ El Cabildo” insieme alla Segreteria Nazionale del Turismo ed al Comune di Bahia Negra, stanziò i fondi necessari per trasformare il sogno in realtà. Il WWF Paraguay, appoggiò L’ iniziativa.
Gli uomini di Karcha Bahlut, muniti di motosega, s’inoltrarono nel bosco della loro riserva. Le donne Chamacoco ripresero a produrre tessuti decorati
Venne creato il logo e la grafica per dare identità ad un’idea che stava prendendo rapidamente forma e alla quale decidemmo di dare un nome: Museo Verde.
L’estate in Paraguay è stagione di piogge e quell’anno le precipitazioni furono più abbondanti del solito. Il livello del gran fiume crebbe, fino a lambire le prime case di Karcha Bahlut. Il museo sembrava destinato alla distruzione, ancor prima di essere costruito. Poi avvenne qualcosa. Forse lo sciamano della comunità eseguì i corretti riti propiziatori ad Ashnuwerta, la dea delle acque, o forse un’alta pressione venne in nostro soccorso dalla Patagonia. Sta di fatto che smise di piovere ed iniziò il deflusso delle acque.
Nell’agosto del 2016 il Museo Verde di Karcha Bahlut fu inaugurato.
Sembrava la conclusione di una bella storia.
Invece fu solo l’inizio.

In breve fu chiaro che quello appena costruito non sarebbe stato l’unico Museo.
Il progetto creato per i Chamacoco venne adattato per gli Ayoreo e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), stanziò fondi per la sua realizzazione. L’ Istituto Italo Latino Americano (IILA) s’interessò per dotare anche Ache, Qom, Caduveo e Wichi, di un luogo ove custodire le testimonianze del loro passato. Non più una singola infrastruttura: l’inizio di una rete sul territorio di un’immensa regione che si estende per più di un milione di km2 nei territori di 4 Stati, Paraguay, Argentina, Brasile e Bolivia: il Gran Chaco, ove sopravvivono, tenacemente attaccati alle loro antiche tradizioni, comunità appartenenti a ben 40 popoli indigeni.
Iniziò una riflessione su cosa poteva essere fatto per conservare e valorizzare questo straordinario patrimonio.
L’argomento suscitò approvazione ed interesse nel WWF e nacque “Alleanza per il Chaco” per dimostrare, con iniziative e progetti concreti, che il binomio natura/cultura indigena può essere un “vaccino” per l’Umanità e molto altro ancora.
Il cammino percorso da quella chiacchierata nel giugno 2015, sulle rive del rio Paraguay, non è poco e non è destinato a fermarsi.
Non dobbiamo però dimenticare che tutto ebbe inizio da lì. Dal sogno di un cacique.

Perchè Museo Verde?

Museo

Museo perché ogni comunità originaria costruisce, con il nostro aiuto, un piccolo luogo espositivo nel suo villaggio, nel quale conserva oggetti di arte indigena, allo scopo di mantenere vivo il ricordo di antichi costumi e tradizioni.

Verde

Verde perché costruito con materiali del luogo, e localizzato in mezzo al verde della foresta.



La deforestazione non è solo un crimine ambientale. E’ un incredibile esempio di stupidità, anche dal mero punto di vista economico.

La Nostra Missione

Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, o estinguersi” “Spillover” di David Quammer.



Il Museo Verde si propone questi obiettivi

Obiettivo 1

PRESERVARE E CONSERVARE IL GRAN CHACO DALLA DEFORESTAZIONE

Obiettivo 2

CONSERVARE E PROMUOVERE LA CULTURA E LA MEMORIA STORICA DELLE COMUNITÀ INDIGENE DEL GRAN CHACO

Obiettivo 3

PROMUOVERE LA GESTIONE SOSTENIBILE DELLE FORESTE PER AUMENTARE LA RIMOZIONE DELLA CO2 DALL’ATMOSFERA

In occasione della PreCop 26, la conferenza Internazionale sui cambiamenti climatici, il Museo Verde ha lanciato il “Patto per il Gran Chaco” in collaborazione con IILA, WWF Italia e le ambasciate di Argentina e Paraguay.
il Patto è teso a promuovere il binomio cultura/ambiente come fattore di sviluppo sostenibile, e a valorizzare e proteggere le risorse naturali e culturali di uno dei maggiori polmoni verdi del pianeta.
Cambiamenti climatici e pandemie mettono a rischio la nostra stessa sopravvivenza. Molto resta ancora da chiarire ma, nell'opinione degli scienziati, si è fatta strada l’ ipotesi che i pericoli da fronteggiare siano da ricondursi ad un unico grande problema: l’alterazione di complessi e delicati equilibri naturali.

Secondo il CDC ( U.S. Centres for Disease Control and Prevention), la deforestazione è una delle grandi cause di rottura di tale equilibrio. Tre quarti delle nuove patologie che colpiscono l’uomo hanno origine da animali.
"Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, o estinguersi” “Spillover” di David Quammer.

La relazione deforestazione/aumento delle malattie infettive è stata denunciata anche da Greenpeace.
Ma c’è di più. La deforestazione non è solo un crimine ambientale.
E’ un incredibile esempio di stupidità, anche dal mero punto di vista economico.
A chi asserisce che la deforestazione è necessaria per sostenere l’economia, ora si può rispondere che ci sono alternative, non meno profittevoli e che non comportano i costi stratosferici dovuti all’insorgere di pandemie e ai mutamenti climatici.

Un’accorta gestione sostenibile delle straordinarie risorse custodite nelle foreste può generare profitti superiori a quelli ricavati dalla loro distruzione.

Dobbiamo fare uso di innovazioni moderne, ma anche avvalerci delle esperienze maturate dalle popolazioni indigene, guardiani della foresta da sempre. Dobbiamo fare in modo che gran parte dei profitti generati da una gestione più intelligente e sostenibile delle foreste vada a favore della loro sopravvivenza, come popolo e come cultura, che va riconosciuta come un patrimonio del quale l'umanità non può fare a meno.

Click to play

Al Museo Verde contribuiscono antropologi, ambientalisti, diplomatici, architetti, fotografi ed Istituzioni italiane e latinoamericane.

Lo Staff

Gherardo La Francesca, Luca Rugiu, Camilla Persi, Andrea Gristina, Marcella Simonelli, Riccardo Tiddi, Rubens Piovano. Vi contribuiscono volontariamente architetti, grafici, antropologi, diplomatici, giornalisti, economisti, agronomi, fotografi, Istituzioni italiane e latinoamericane e rappresentanti delle comunità indigene sul territorio.

Lo Staff

Al Museo Verde contribuiscono antropologi, ambientalisti, diplomatici, architetti, fotografi ed Istituzioni italiane e latinoamericane.

Gherardo La Francesca, Luca Rugiu, Camilla Persi, Andrea Gristina, Marcella Simonelli, Riccardo Tiddi, Rubens Piovano. Vi contribuiscono volontariamente architetti, grafici, antropologi, diplomatici, giornalisti, economisti, agronomi, fotografi, Istituzioni italiane e latinoamericane e rappresentanti delle comunità indigene sul territorio.

I Nostri Partners

Il Nostro Progetto è Appoggiato da:

Italia

PARAGUAY